27 Luglio 2024

di Gianluca Cicinelli

Per noi che ci occupiamo di vittimizzazione secondaria, la morte di Maria Fida Moro è una ferita umana che resta aperta. La figlia di Aldo Moro, la madre di Luca, che in Moro ha voluto cambiare il suo cognome ricambiando l’amore che il nonno gli ha espresso fino alla sua ultima missiva dal carcere brigatista, è morta, come la madre Eleonora, continuando a chiedere allo Stato di svelare la sua parte di responsabilità nella fine dello statista democristiano.

Non era una persona facile. Ci sono verità scomode che solo in apparenza la morte cancella. Prima tra tutte l’ipocrisia di chi oggi la ricorda tacendo che in vita gliene hanno dette di tutti i colori. Perchè certo non era la diplomazia l’arma usata da Maria Fida Moro per rivolgersi ai compagni di partito del padre. E ne ha pagato il prezzo con l’isolamento umano e politico.

L’ho incontrata una sola volta, in occasione di un convegno alla Sala del Cenacolo nel 2003, dopo che lo psichiatra e criminologo Francesco Bruno mi aveva confidato di essere stato lui, all’epoca dei 55 giorni, lavorando presso lo psichiatra Ferracuti, che faceva parte dell’opaco Comitato di Crisi istituito da Francesco Cossiga, a inventare la sindrome di Stoccolma per togliere credibilità alle parole scritte da Moro durante il sequestro contro i suoi “amici” della Dc. Bruno disse anche di averlo fatto per lo scopo opposto a quello poi usato da Cossiga, ovvero offrire a Moro una via d’uscita in caso di liberazione. Sta di fatto che aveva contribuito a farlo passare per pazzo e in quel convegno chiese scusa alla famiglia, nella persona appunto di Maria Fida Moro che era presente.

La mia impressione, che vale solo come sensazione personale, è che nonostante la cortesia e la disponibilità manifestate, ebbe parole affettuose per Bruno dicendo di non ritenerlo “colpevole” di quanto era avvenuto, non gliene importasse più molto di quello che gli altri dicevano sul padre. Ne aveva passate troppe, sentite troppe, non erano più le parole ormai che potevano cambiare il suo dramma.

L’altra verità scomoda riguarda il rapporto con la sua stessa famiglia, nel quale non mi permetto di entrare, conflittuale al punto tale che durante la sua audizione presso la Commissione Moro 2 quella parte che riguardava proprio gli aspetti interni al dramma dei 55 giorni, venne secretata. Secondo le cronache del 2010 non partecipò al funerale della madre, in polemica con i suoi fratelli.

Il suo tormento è testimoniato anche dall’altalenanza politica: eletta deputata nel 1987 con la Democrazia Cristiana, passa a Rifondazione Comunista e poi al gruppo misto, ma dopo l’esperienza parlamentare si candida al comune di Fermo con il Movimento Sociale, partecipa alla nascita di Alleanza Nazionale e nel 99 si candida con la lista Dini al Parlamento Europeo. Infine aderisce al Partito Radicale nel 2008.

Difficile pensare che la sua sofferenza sia stata estranea ai suoi problemi di salute: tre pre-infarti e diversi tumori, con ben 26 ricadute in 34 anni. E’ morta a 77 anni dopo una lunga malattia.

In quelli che possono sembrare umori politici contraddittori ha però mantenuta sempre ferma la linea della ricerca della verità sulla fine del padre. Lo ha fatto conservando l’umanità di riconoscere ai brigatisti il diritto di rifarsi una vita, ma ribadendo che semmai era lei ad essere costretta per sempre in una prigione dalla quale era impossibile uscire.

La vittimizzazione secondaria è esattamente questo. Dopo aver subito una violenza continuare a rivivere ulteriori violenze, non più soltanto per mano di chi ha prodotto la prima ma di altri soggetti. E chi anzichè ritirarsi nella sfera intima denuncia la violenza subita diventa immediatamente la vittima ideale per altre valanghe d’insulti e gogne pubbliche.

La colpevolizzazione della vittima è la cifra con cui va letta la storia di Maria Fida Moro dal 9 maggio ’78 in poi, un caso da manuale. Compresa la sua richiesta, 45 anni dopo l’omicidio del padre, che la legge 206 del 2004 sulle vittime del terrorismo fosse applicata anche al padre a vent’anni dal suo varo, cosa che, incredibile a dirsi, non era stata fatta. Anche su questo ha subito attacchi di ogni tipo. Perchè a rendere controversa la questione, per cui c’era chi invece sosteneva che era stata ammessa ai benefici, c’era stato un contenzioso legale con l’Agenzia delle entrate. Poi, lo scorso anno, Maria Fida Moro ringraziò la premier Giorgia Meloni per aver risolto la questione.

Lasciamo a lei l’ultima parola, da un’intervista rilasciata l’anno scorso a La Nazione”:
“Otto processi Moro, quattro commissioni terrorismo e stragi, due commissioni Moro, una commissione Mitrokhin e una commissione P2, non sono bastati a far piena luce su una delle pagine più grigie e inquietanti del nostro Paese, intrise di depistaggi, cospirazioni, morti sospette e menzogne. Quasi mezzo secolo di dolore amaro quanto inutile, causato dal fatto in sé e dalla “trasandatezza” delle istituzioni democratiche. È sempre colpa delle vittime, si sa! Al diavolo tutto e tutti”.

Gianluca Cicinelli

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Memoria e verità