28 Aprile 2024

Inizio a scrivere questo post che è quasi l’alba di sabato 14 ottobre. Ho appena finito di chattare via whatsapp con la mia amica di infanzia, Angelica Edna Calò Livne. Da più di quarant’anni vive a Sasa, un kibbutz di frontiera a nord di Israele. È una donna decisa, coraggiosa, impegnata da sempre in un progetto di pace (Bereeshet LaShalom) che unisce bambini e ragazzi israeliani e palestinesi attraverso la forza trascinante e universale del teatro e della danza.

Mi ha mandato un messaggio chiedendomi di diffondere l’immagine di Adina Moshe, scampata ai campi di concentramento, emigrata in Israele e lo scorso sabato portata via in trionfo, derisa e sbeffeggiata dai terroristi di Hamas. Della sua sorte, al momento non si sa niente. Ne ha dato notizia anche la tv americana: diffondere la foto forse non servirà a ritrovarla e riportarla a casa sana e salva come ci auguriamo, ma almeno che si conosca la sua storia e che l’orrore vissuto il 7 ottobre 2023 non parli solo di quante vittime ha fatto questa volta il terrorismo, ma mostri anche volti e vite e affetti messi così duramente alla prova.

Mentre mi manda le foto, mi racconta che Adina è la zia di Yariv, un membro del suo kibbutz, e io mi informo sulla situazione sul campo; alle 4.01 mi chiede: “ohhhh ma tu perchè sei sveglia a quest’ora????????????”

Sono sveglia perché non riesco a pensare altro che a questa tristissima settimana, agli orrori che ho visto, alla violenza che c’è stata e che ci aspetta. Dalla nostra relativa tranquillità, qui in Europa, le immagini che ci arrivano sembrano irreali: un momento sei su una serie di guerra su Netflix, l’attimo dopo sul telegiornale, e il registro visivo non cambia.

C’è un allarme terrorismo che ci lambisce, anzi che allunga i suoi artigli verso di noi, e noi rimaniamo fermi, stupiti e inerti, ancorati ai nostri comodi schemi mentali e ai nostri schieramenti politici. Penso alle dichiarazioni di solidarietà verso Israele che sono piovute da ogni dove nell’immediatezza della notizia e all’immediata risposta (a volte anche degli stessi), conseguente al preannunciato attacco israeliano a Gaza, che ha compattato le fila di chi sostiene la causa palestinese. Ho letto sui social frasi di una violenza incredibile da parte di persone, più o meno giovani, che si dichiarano pacifiste; ho sentito slogan agghiaccianti e ripetere all’infinito come mantra palesi falsità storiche, create ad arte dai padroni della guerra per infiammare gli animi.

Questa è la solidarietà di cui i bambini di Israele e di Gaza hanno bisogno? Solidarietà che dura l’attimo in cui si accendono i riflettori della cronaca, si usa e si getta nel dimenticatoio, fino alla prossima strage. Questa è la solidarietà, acida, violenta, rancorosa, che vogliamo mostrino le nuove generazioni? A quale futuro ci porterà tutto questo?

Abbiamo una sola strada, ardua, in salita ma praticabile: combattere l’opera di radicalizzazione dei giovani e delle persone più deboli, fin dalle scuole, spiegando loro cosa c’è veramente dietro certi profili social e certi messaggi, come respingere le lusinghe di una invincibilità che nella vita reale non esiste, cosa può farli cadere in una trappola senza ritorno, che inizia spesso con un cartello di condanna fuori le righe e potrebbe terminare nel peggiore dei modi. E va mostrato il valore prezioso del vivere civile, insieme, ognuno contribuendo con il suo apporto al bene comune.

Bisogna agire subito e per questo ci vuole, da parte di tutti,  un atto di grande coraggio. I bambini di Israele, di Gaza e di tutto il mondo non possono più aspettare.

Eliana Pavoncello

Presidente di Memoria e Verità per le vittime del terrorismo – aps e practitioner RAN Europe (Radicalization Awarness Network)

2 risposte

  1. Un bel messaggio scritto da chi sa scrivere per sua natura e per professione e per essere doppiamente vittima di terrorismo e vittimizzazione secondaria .

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Memoria e verità