18 Maggio 2024

Il fotografo Elio Vergati, è stato testimone di eccezione con l’occhio della sua macchina negli attentati terroristici palestinesi di Fiumicino. Ecco cosa ci ha raccontato di quella esperienza che ha segnato la sua vita e la storia del nostro paese.

Come mai si trovava a Fiumicino quel 27 Dicembre del 1985?

Sono entrato a lavorare nell’aeroporto di Fiumicino nel 1961, come fotografo dell’agenzia di stampa Telenews, che ha un contratto con l’Ansa per la copertura dell’aeroporto stesso: le immagini di tutti gli avvenimenti, dei personaggi che partivano e arrivavano, di tutto quello che succedeva in aeroporto lo mandavamo all’Ansa. Quindi quel 27 Dicembre io ero lì seduto nel mio ufficio.

Ci racconta gli attimi immediatamente successivi al momento in cui si è reso conto che si trattava di un attacco terroristico?

A un certo punto ho sentito dei botti, delle esplosioni, da lontano, un po’ ovattate, abbastanza distanti, un 150 metri più o meno. Ho visto gente che

correva da tutte le parti e ho preso subito la borsa che avevo sempre pronta con macchina fotografica e tutto il resto e mi sono diretto verso questo punto da dove provenivano le persone che scappava e lì mi sono reso conto di quello che stava succedendo. Quello che mi ha fatto più colpo sono stati i feriti, i morti. C’è una cosa che non ho mai capito. Questi terroristi, come si è saputo dopo, avevano come obiettivo i banchi di accettazione dei passeggeri della compagnia israeliana El Al e della compagnia americana TWA, ma poi si sono rivolti contro il bar che stava lì vicino e hanno cominciato a mitragliare sulla gente che stava al bar, cioè i morti tutti lì sono caduti. Ma tutto questo l’ho realizzato dopo perché in quel momento ero lì e pensavo solo a fare le fotografie.

Sono sue le foto anche dell’azione terroristica del 1973, sempre a Fiumicino. Ha mai riflettuto sul fatto che il caso le ha offerto non una, ma due occasioni di essere l’occhio testimone di tali eventi storici? Si sente nel bene e nel male un privilegiato per questo?

Non ho mai riflettuto sul fatto di essere o meno privilegiato di questi eventi che poi sono diventati storici, ma direi che semplicemente è capitato, quello era il mio lavoro, ho dovuto intervenire e, ripeto, fare il mio lavoro. Tutto qui.

Una immagine, si dice, vale più di mille parole. E infatti la foto del finanziere morto sotto l’aereo nell’azione terroristica di Fiumicino 1973 è arrivata giustamente seconda al premio Pulitzer. Secondo lei, però, qual è la foto tra quelle che ha scattato durante questi tragici fatti che più “parla” al cuore e alla mente?

Sì, è vero, la foto del povero finanziere sotto l’aereo nell’attentato del 1973 è arrivata seconda al premio Pulitzer e questa cosa un po’ mi inorgoglisce, perché vuol dire che ho fatto un buon lavoro, anche se non avrei mai voluto scattare quella foto, un giovane finanziere praticamente giustiziato, no, non giustiziato è stato proprio ucciso, mi è sembrata una cosa tremenda.

C’è una foto che avrebbe voluto, ma non ha potuto scattare in quelle due circostanze?

Io penso di aver scattato tutto quello che c’era da fare, anche perché è successo tutto non dico in pochi secondi, ma in un minuto, due minuti: sono rimasti i feriti in terra, gli aiuti sono stati prontamente organizzati, tutto quello che ho visto l’ho ripreso.

Un professionista come lei sa come affrontare qualunque situazione con calma e concentrazione. Ma una domanda devo fargliela: ha avuto paura? Ha pensato che anche la sua vita fosse in pericolo?

Molti mi hanno chiesto: ma non hai avuto paura? No, sinceramente no perché non ho avuto neanche il tempo di pensare di aver paura o no, perché stavo lavorando. Questo tutti i fotografi e i giornalisti lo sanno: non pensi ai pericoli, se no cambi mestiere, non c’è alternativa.

Ha incontrato successivamente le persone che ha ripreso durante le azioni terroristiche? Se sì, che impressione le ha fatto?

Le persone che sono rimaste coinvolte in questo attentato non le ho più riviste, perché erano praticamente tutti straniere, non so davvero che fine abbiano fatto. Con gli impiegati che allora erano presenti ci siamo incontrati spesso, abbiamo parlato di quello che abbiamo vissuto insieme.

LEGGI QUI LA RICOSTRUZIONE STORICA DELL’ATTENTATO

 

Una risposta

  1. Non posso dimenticare il vile attentato alla sinagoga e ricorderò per tutta la vita che Simona ed io eravamo venute a trovarti in ospedale Eliana, dove cercavano di levarti tutte le schegge di ferro che avevi nelle gambe… un’attentato orrendo, vile e doloroso!!!!!

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